Rick Riker, parodia del più noto Peter Parker, durante una visita
scolastica viene punto da una libellula geneticamente modificata e si
ritrova in dotazione una serie di superpoteri che non gli impediscono,
però, di combinare dei superdisastri. Dopo essersi creato un costume ad
hoc, si presenta alla città come l'Uomo Libellula, in lotta contro
l'Uomo Clessidra, zio del suo rivale in amore, determinato a perpetrare
una strage di massa per assicurarsi l'immortalità.
Sulla falsariga della trilogia di
Spiderman, con qualche incursione nell'infanzia di
Batman, nei numeri di prestigio dei
Fantastici Quattro e nella scuola per ragazzi iperdotati degli
X-men, si dispiega
Superhero - Il più dotato dei supereroi, per la regia di Craig Mazin, già co-autore di due volumi di
Scary Movie.
"Stupido", letteralmente: "sono stordito, resto attonito". Non c'è
aggettivo etimologicamente più adatto a commentare la natura di questo
prodotto e la reazione che suscita. Dispenser di facile cinismo e
umorismo fritto in olio vecchio, del divertimento promesso non reca
traccia.
Lanciare lo scienziato disabile Stephen Hawking giù dal tetto, prendere
a craniate il Dalai Lama, fare pipì nei pantaloni o venire interrotti
durante una dichiarazione d'amore dall'inesauribile gas intestinale di
zia Lucille, più che lo spasso induce la pietà per David Zucker,
responsabile di cult come
L'aereo più pazzo del mondo e
Una pallottola spuntata!, ridottosi a produrre la serie zeta.
La parodia è un genere che, fortunatamente, non morirà mai, ma
Superheroha certamente provato ad ucciderla. Forse voleva essere coerente con se
stesso, visto che la ricetta di base di questa riscrittura prescrive
che il protagonista, l'attore e musicista Drake Bell, sia condannato a
uccidere tutti coloro che si mette in testa di salvare. Ma è una
trovata che allontana troppo il clone dal suo modello, pregiudicando
ancora una volta l'effetto ridicolo.
Come Rick, un supereroe che non sa volare, il film non riesce a
dimostrare la sua ragione di esistere e manca del tutto, raffazzonato
com'è, di autonomia e interesse. Lo si può dire a ragione ipodotato.
L'inserimento in coda, senza però soluzione di continuità, delle scene
non inserite nel montaggio definitivo, appare, infine, come
un'ammissione d'incapacità, se è vero che la comicità è prima di tutto
perfezione nella misura e acuta capacità di selezione.
Pamela Anderson è uno specchietto per le allodole; non compare che per
qualche secondo, per giunta mezza invisibile. Anche Leslie Nielsen, nei
panni di zio Albert, è confinato in uno spazio piuttosto ridotto, ma è
l'unico che riesce a strappare una risata. Una in tutto.
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