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A distanza di 27 anni dalla sua uscita nelle sale di tutto il mondo,
L'esorcista torna a terrorizzare il pubblico. Ma come può farcela? In
questi quasi tre decenni siamo stati "allevati" e "allenati" a effetti
speciali di tutti i generi. La televisione ci ha portato in casa,
serviti a pranzo e a cena, gli orrori più sconvolgenti. Eppure negli
Stati Uniti ci è riuscito e anche da noi non è passato inosservato.
Perché il cinema, quando è tale, non risente dello scorrere del tempo.
Perché Friedkin, con l'aiuto di William Peter Blatty, autore del libro
che fareste bene a leggervi anche "dopo" la visione del film, tocca una
delle corde sensibili di tutta l'umanità. Anche di quella che non
crede: l'esistenza e la possibile incarnazione del Male Assoluto. E lo
fa pigiando sul pedale dell'orrore (la testa ruotata, il vomito verde),
dell'osceno (l'autodeflorazione con il crocifisso), della crisi di fede
(i due sacerdoti). Ma passa attraverso l'innocenza di una tredicenne.
Tutto ciò che Regan (il nome di una delle tre figlie di Re Lear) fa non
"dipende" da lei, è eterodiretto. Lo spettatore viene così messo in una
condizione di "non colpevolezza" analoga a quella della protagonista:
può farsi "possedere" dall'orrore, dall'osceno, dal dubbio ritrovando
all'uscita dalla sala la propria originaria "purezza". Il lancio del
film non ha previsto, come 25 anni prima, l'organizzazione di presìdi
di pronto soccorso negli atri delle sale in cui viene proiettato. Si è
puntato piuttosto sugli 11 minuti aggiunti. Che portano a un totale di
due ore e 14 di terrore "vero"....